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Contesto sociale

Bacu Abis (Carbonia-Iglesias) – Minatori all'uscita da una galleria (fondo Costa)
Grazia Deledda nasce qualche anno dopo i moti popolari de "Su Connottu", che rappresentano il più importante avvenimento politico e sociale della Nuoro dell'Ottocento.
Con l'editto del 1820, la cosiddetta legge delle chiudende, il governo sabaudo aveva dato avvio al processo di trasformazione fondaria dell'isola, imponendo la chiusura delle proprietà private.
La legge venne applicata dalle autorità comunali nuoresi, come peraltro in gran parte dell'isola, a tutto vantaggio dei maggiori proprietari terrieri, "sos prinzipales"; tant'è che nel 1832 un gruppo di pastori e di contadini poveri manifestò la propria insofferenza demolendo le chiusure ritenute illegittime e appiccando incendi alle coltivazioni.

Il malcontento ebbe un secondo e più significativo esito nei moti de "Su Connottu": il 26 aprile 1868 la popolazione nuorese insorgeva contro una deliberazione del Consiglio comunale che autorizzava la vendita di terreni comunitari. Al grido di "A su connottu" un folla esasperata dava l'assalto al municipio distruggendo registri e documenti.
Al di là delle motivazioni contingenti, la rivolta può essere letta come un tentativo più o meno consapevole di difendere un intero universo di rapporti sociali e la concezione comunitaria delle terre come patrimonio ereditario della comunità nuorese: quasi il grido disperato di un mondo, quello delle libere e un po' anarchiche comunità della Barbagia, consapevole di avvicinarsi alla fine. Ai moti de Su Connottu si riconduce da più parti la nascita di una coscienza identitaria nuorese e barbaricina su cui si sarebbero innestati non solo alcuni dei fondamentali assunti dell'azione politica nuorese a cavallo tra Ottocento e Novecento, ma anche il senso più profondo del generale fermento culturale che di là a qualche anno avrebbero collocato Nuoro al centro della produzione artistica e letteraria della Sardegna. Accanto ai poeti in lingua sarda Salvatore Rubeddu, Pasquale Dessanay e Giovanni Antonio Murru, che danno voce alle aspirazioni popolari di giustizia e rispetto dei diritti storicamente acquisiti, si colloca l'opera poetica, pure in sardo, di Nicola Daga, Antonio Giuseppe Solinas, Pietro Piga, Sebastiano Manconi, Francesco Ganga.

Ma è soprattutto grazie all'attività di Sebastiano Satta, Giacinto Satta, Francesco Ciusa, Antonio Ballero e, naturalmente, di Grazia Deledda, che gli ultimi decenni dell'Ottocento vedono la sorprendente crescita e affermazione di Nuoro quale luogo simbolo della cultura sarda con l'epiteto di Atene dei Sardi. La stessa Deledda, nel 1894, poco più che ventenne, scrive: "E' il cuore della Sardegna, è la Sardegna stessa con tutte le sue manifestazioni. E' il campo aperto dove la civiltà incipiente combatte una lotta silenziosa con la strana barbarie sarda, così esagerata oltre mare. Nuoro è chiamata scherzosamente, dai giovani artisti sardi, l'Atene della Sardegna. Infatti, relativamente, è il paese più colto e battagliero dell'isola.
Abbiamo artisti e poeti, scrittori ed eruditi, giovani forti e gentili, taluni dei quali fanno onore alla Sardegna e sono avviati anche verso una relativa celebrità".
Agli inizi del XX secolo Nuoro conta poco più di settemila abitanti; ecco come la presenta Grazia Deledda in un lungo articolo apparso su La Nuova Antologia del 1901: "L'interno del paese è di una primitività più che medioevale, con strade strette e mal lastricate, viottoli, casupole di granito con scalette esterne, cortiletti, pergolati, porticine spalancate dalle quali s'intravedono cucine nere e interni poveri ma pittoreschi. Nuoro ha un Corso lastricato, chiese, caffè, ecc., ma ciò che può interessare è l'interno del paese, le casupole di pietra, nido o covo d'un popolo intelligente e frugale, che lavora e vive tutto l'anno di pane d'orzo, che crede in Dio e odia il prossimo per ogni più piccola offesa...

Bizzarri tipi attraversano le vie, oltre i paesani coi loro carri tirati da buoi ed i loro cavalli inseparabili, e le donne dagli occhi egiziani, strette nel ricco e pesante costume o poveramente vestite, con canestri ed anfore sul capo: passano i venditori ambulanti; i Barbaricini con cavalli carichi di patate, canestri d'asfodelo, arnesi di legno; le donne d'Oliena con cestini di frutta; il venditore di sanguisughe, che suona un corno per annunziare il suo passaggio; il pescatore di trote; lo stagnaro che grida richiedendo arnesi vecchi di rame, in cambio di quelli nuovi (una specie di zingaro il cui passaggio, dice il popolo, annunzia un cambiamento di tempo, da buono in cattivo); un uomo con una bisaccia, che fa la questua di frumento e d'orzo per la festa d'un santo; un uomo che suona il tamburo, annunziando un bando del Municipio o il prezzo del vino o d'altra merce presso il tale; ed altri ed altri tipi, e finalmente il poeta cantastorie che riduce in versi sardi i più interessanti avvenimenti italiani e stranieri."