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Costumi Ritrovati

Mostra Costumi Ritrovati
Gli abiti sardi dell'esposizione internazionale di Roma del 1911. Nuoro dal 22 al 30 ottobre 2004. Istituto Superiore Regionale Etnografico, Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Museo Nazionale delle Arti e tradizioni popolari. L'apertura della mostra è stata prorogata fino al 06/01/2005.

Gli Abiti Sardi dell'Esposizione Internazionale di Roma del 1911

Questa mostra rappresenta per la Sardegna un evento di straordinaria portata culturale e simbolica.
Per la prima volta, infatti, ritorna nell'isola l'intero corpus di abiti tradizionali inviati dalla Sardegna all'Esposizione Internazionale del 1911 voluta dal Governo italiano per celebrare il primo cinquantenario dell'Unita' d'Italia.
Analogamente alle tante aree regionali che formavano in quegli anni il mosaico storico e culturale del giovane Stato italiano, la Sardegna partecipò all'Esposizione, e piu' precisamente alla Mostra di Etnografia italiana in essa compresa, con una generosa presenza di manufatti: oltre agli abiti, gioielli, casse, oggetti di cestineria, lavori a intaglio in legno e corno, tessuti, ceramiche. La manifestazione si caratterizzo' per un grande sforzo organizzativo ed espositivo, attraverso la realizzazione di grandi padiglioni e la riproduzione di alcuni dei piu' significativi monumenti, edifici o case rurali di tutte le parti della penisola. Per la Sardegna non mancarono le ricostruzioni di un nuraghe, delle torri pisane di Cagliari, della casa aragonese di Fordongianus, di case tradizionali di Fonni, che, riprodotte in cartoline postali, fornirono, insieme al catalogo della mostra, un esempio ante litteram di merchandising museale.
Il responsabile dell'esposizione etnografica, l'etnologo Lamberto Loria, gia' fondatore nel 1906 del Museo di Etnografia di Firenze, costitui' in Sardegna una rete di collaboratori particolarmente attivi: in primo luogo Gavino Clemente, di Sassari, imprenditore e cultore di etnografia, il dottor Luigi Caocci di Aritzo, l'avvocato Antonio Costa, che si occupo' del Mandrolisai, Raffaele Meloni, referente per Cagliari e il Campidano, Giovanni Mura Agus, medico e sindaco di Meana Sardo.
L'intraprendenza e la capacita' organizzativa di Lamberto Loria, altresi', furono determinanti per l'acquisizione da parte della manifestazione romana del gruppo di abiti sardi che, presentati nel 1881 all'Esposizione Nazionale Industriale di Milano, vennero in tale circostanza donati al Comune di Milano.

Nelle intenzioni di Lamberto Loria gli oggetti raccolti in occasione dell'Esposizione, che finirono per superare le 30.000 unita', avrebbero dovuto formare le collezioni del costituendo Museo Nazionale di Etnografia. Con la scomparsa dello studioso, nel 1913, e l'avvento della prima guerra mondiale, la realizzazione del progetto incontro' una serie di difficolta'. Nel 1923 il museo venne comunque ufficialmente costituito, ma in assenza di una sede adeguata, i reperti, dopo varie vicissitudini, chiusi in casse, vennero trasferiti nella Villa d'Este a Tivoli. Il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni popolari infine venne aperto al pubblico il 20 aprile del 1956 nell'attuale sede dell'EUR.

La Mostra di Etnografia del 1911 segna l'ingresso dell'abbigliamento popolare della Sardegna in ambito museale e dunque il riconoscimento ufficiale della sua afferenza al patrimonio della cultura e dell'arte popolare italiana. Un riconoscimento questo che giunge al termine di un processo iniziato nell'ultimo Ventennio dell'Ottocento con le prime presenze nella citata esposizione milanese, in quella di Sassari del 1899, e in qualche modo anticipato dalle fotografie di costumi sardi presentate in esposizioni nazionali e internazionali; in particolare si ricordano le immagini Agostino Lay Rodriguez alla Prima Esposizione Sarda del 1871 e all'Esposizione Universale di Vienna del 1873 e di Giuseppe Luigi Cocco alla stessa Esposizione viennese e all'Esposizione di Parigi del 1878.
Ed e' certamente non casuale che il processo culturale attraverso il quale venne a maturare l'esigenza dell'inserimento degli abiti popolari nell'istituto museale trovi coerenza e affinita' con il tema attorno al quale in quegli stessi anni del primo Novecento si sviluppo' la produzione artistica dell'isola: il tentativo di costruire un'identita' nazionale della Sardegna mediante l'individuazione di una serie di fatti, segni e documenti emblematici e rappresentativi - anche nel senso di una resa per immagini - dell''anima del popolo sardo'. Per tutti basti citare il Francesco Ciusa de La madre dell'ucciso (1907) e La filatrice (1909) e il Giuseppe Biasi di Processione in Barbagia e di Grande festa campestre (1908-1911).

A partire dagli anni Venti del Novecento, con sempre maggior frequenza, si susseguirono le voci di quanti nell'isola richiedevano la creazione di un museo nel quale raccogliere le testimonianze materiali della cultura popolare della Sardegna prima che, secondo la riflessione di Ettore Pais (1923) 'la civilta' continentale del tutto le cancelli'. Cosi' pure M. Vinelli, nel 1927, auspicava la realizzazione di un 'Museo cui si adunassero questi esemplari dei nostri bei costumi ... o si ricostituissero quelli che non son piu', dai piu' antichi agli ultimi sopravvissuti negli elementi essenziali.
E dieci anni, dopo Doro Levi (1937), in occasione dell'inaugurazione a Cagliari della mostra delle Arti Popolari della Sardegna, nel porre in evidenza il generale processo di abbandono delle tipologie indumentarie tradizionali e l'incetta che di esse facevano i collezionisti, segnalava come per la Sardegna 'fosse piu' urgente e piu' doverosa che per qualsiasi altra regione d'Italia la creazione d'un Museo dedicato all'abbigliamento popolare'.
Tale condiviso intendimento avrebbe preso corpo solo nella seconda meta' degli anni Cinquanta: mentre a Roma veniva aperto il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, a Nuoro, per iniziativa della Regione Sarda prendeva avvio la costruzione del Museo del Costume, primo e tuttora unico istituto museale regionale, di seguito incorporato nell'Istituto Superiore Regionale Etnografico con la nuova titolazione di Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
La mostra del 1911 rappresenta dunque una sorta di evento/rito di fondazione o di antenato totemico della museologia etnoantropologica italiana compresa, naturalmente, quella riguardante la Sardegna.

La raccolta dei costumi sardi, e in generale dei reperti sardi, del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, e' rimasta nel suo complesso sconosciuta per circa un secolo; un secolo nel quale questi abiti sono progressivamente usciti dall'uso comune: prima nei centri maggiori e in quelli costieri, piu' a contatto con le influenze esterne, poi, mano a mano, con un continuo processo di trasformazione, nelle zone centrali.
E' dunque un patrimonio in gran parte inedito quello che si presenta attraverso i sessanta costumi della Mostra, che, se da un lato conferma le tipologie e le articolazioni generali del sistema vestimentario sardo, maschile e femminile, dall'altro sorprende per la estrema ricchezza di varianti e invenzioni compositive possibili all'interno della struttura generale, conseguenti all'associazione creativa di tessuti, cromie, tecniche di taglio, ornamentazioni.
Colpiscono, tra gli altri, per la loro qualita', uno straordinario abito da pescatore di Cagliari, con un raro cappotto sereniccu, reperito da Raffaele Meloni e Gavino Clemente, a seguito di espressa richiesta di Lamberto Loria, un abito maschile di Iglesias e in generale per la qualita' dei tessuti, del taglio e dell'ornamentazione tutti i soprabiti maschili.
E ancora gli abiti maschile e femminile di Fonni, femminile di Oliena, privo del rutilante apparato ornamentale delle varianti degli anni Cinquanta, di Meana, di Sorgono, uno scarramagnu di Orani.
La raccolta, inoltre, presenta motivi di particolare interesse per la presenza di un vasto repertorio di calzature maschili e femminili, -alcune di sorprendente attualita'- assente, per esempio, nelle pur ricche raccolte del museo nuorese.

La Mostra si e' potuta realizzare grazie alla proficua intesa instauratasi ormai da lunga data tra il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari e l'Istituto Superiore Regionale Etnografico, e alla sensibilita' del Ministero dei Beni e Attivita' Culturali, attraverso, in particolare, la Direzione Generale del Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico, la Soprintendenza Regionale per i Beni e le Attivita' Culturali e la Soprintendenza per i Beni Architettonici, il Paesaggio e il Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico per le province di Sassari e Nuoro.
Un ruolo di particolare significato e' stato inoltre svolto dalla casa editrice nuorese Ilisso, curatrice del catalogo, cui va il merito tra l'altro di aver con decisione e caparbieta' riattivato il progetto di questa mostra riannodando i fili di un'iniziativa che l'Istituto e il Museo nazionale avevano intrapreso a meta' degli anni Ottanta.

Anche in funzione del significato simbolico del ritorno attribuito all'iniziativa, l'allestimento proposto nella sala delle mostre temporanee del museo nuorese vuole evocare il clima gioioso di una festa nella quale ci si ritrova e ci si riconosce: una pedana d'ossidiana/ isola di Sardegna accoglie e riunisce in un unico gruppo la gran parte degli abiti su manichino, evitandone il frazionamento in una sequenza di vetrine. Una festa per il ritorno di questi documenti/monumenti dopo un'assenza di molte stagioni.
Anche il titolo Costumi Ritrovati intende mettere in evidenza che la Sardegna con questa mostra ritrova e riscopre un pezzo del suo patrimonio di arte e cultura popolare; ritrovamento e riscoperta resi possibili grazie all'azione di tutela e conservazione esercitata per circa un secolo dal Museo Nazionale.
Al suo personale si deve il prezioso lavoro di preparazione dei materiali che in vista della mostra ha effettuato una completa revisione dei reperti procedendo, ove necessario, al loro restauro. Altrettanto importante e impegnativo e' stato il lavoro svolto dal personale museale dell'ISRE, che da un lato, sulla base della conoscenza specialistica maturata attraverso lo studio e la cura del patrimonio vestimentario sardo, ha analizzato capo per capo la collezione riattribuendo denominazione e localita' ai reperti indicati come 'provenienza sconosciuta' o riassemblando correttamente alcuni insiemi; dall'altro ha modificato i manichini ampliandone e o riducendone le dimensioni, per adattarli alla taglia, spesso veramente inconsueta, di ogni singolo abito e curato le piu' varie operazioni tecniche e organizzative dell'allestimento.
La mostra ha offerto altresi' l'occasione per l'analisi e lo studio dei quaderni di appunti di Lamberto Loria e del prezioso carteggio intercorso tra l'etnologo e i suoi referenti sardi. Attraverso la loro lettura si riesce a ricostruire l'intero processo attraverso il quale i diversi abiti furono reperiti, acquistati e inviati a Roma. Questi importanti documenti vengono per la prima volta pubblicati nel catalogo della mostra.

Paolo Piquereddu