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Due Carnevali trasgressivi

Due Carnevali Trasgressiv
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde dal 01/06/1984 al 30/06/1984, 64 fotografie dei Carnevali di Bosa e Ovodda. Mostra fotografica di Riccardo Campanelli, promossa dall'Istituto Superiore Regionale Etnografico. Sassari , Chiarella 1984.

Nel 1982 la mostra fotografica "Viaggio nelle terre dei pastori" di Fausto Giaccone, offrì un ulteriore contributo documentativo al tema della Rassegna Internazionale di Documentari Cinematografici e Televisivi "Il Pastore e la sua immagine".
Quest'anno, per "Il Mondo alla rovescia. Immagini di carnevali e di altre devianze ritualizzate nelle società tradizionali" lo stesso ruolo viene svolto dalle fotografie di Riccardo Campanelli che ormai da oltre 10 anni dedica il suo impegno e la sua professionalità ai Carnevali sardi.
Le immagini presentate nella mostra si riferiscono alla giornata conclusiva dei Carnevali di Bosa e Ovodda, centro di pescatori sulla costa occidentale della Sardegna il primo, paese di pastori - come parrebbe indicare la sua stessa denominazione - della Barbagia di Ollolai il secondo.

Ancora saldamente ancorati alla comunità e non viziati dalle solite deformazioni turistiche, questi due Carnevali sono particolarmente pertinenti al tema del "Mondo alla rovescia" e della sospensione temporanea delle norme.
Più in particolare, e molto schematicamente, nel caso di Bosa, ci troviamo di fronte a un fenomeno di devianza e trasgressione collettiva del comportamento gestuale e verbale nei confronti della sfera sessuale; nel caso di Ovodda nella rappresentazione di un tema classico, il rovesciamento, irrisione e uccisione del rappresentante del potere costituito.
La mattina del martedì grasso, a Bosa, gruppi di giovani coperti di un domino nero piangono le tristi vicende sessuali e lo stato di deperimento di una bambolina che ciascuno porta con se', indicandone agli astanti le parti genitali e invitando le ragazze che si incontrano per la strada a contribuire con le loro grazie al rinvigorimento e guarigione delle sfortunate bambole.
La lamentazione o "s'attittidu", a causa dell'eccitazione collettiva e del gran consumo di vino, risulta particolarmente convincente e toccante.
La sera la rappresentazione e i personaggi de "s'attittidu" scompaiono. Nelle strade si riversano uomini, donne e bambini, vestiti di bianco, in genere coperti mediante lenzuola con cappuccio: si apre una straordinaria ricerca notturna di Gioldzi moro, il Carnevale, alla luce di fiaccole e lumicini di cui ognuno degli strani fantasmi è dotato.
Le ricerche vivono momenti ricorrenti d'eccitazione quando qualcuno annuncia a gran voce di aver trovato Gioldzi: questo è invariabilmente nascosto tra le gambe degli uomini.
Il rituale, emozionante e suggestivo, continua per molte ore e, per taluni gruppi, fino alle prime luci dell'alba che segnano, con l'arrivo del Mercoledì delle Ceneri, la fine del Carnevale bosano. In tale giorno improprio si svolge invece la giornata centrale del Carnevale di Ovodda, caratterizzato dal corteo di Don Conte, un fantoccio, simbolo del potere tirannico.

I temi, i ritmi, l'atmosfera della rappresentazione rientrano nei canoni classici dei cortei-processioni di Carnevale con uccisione di un capro espiatorio, preceduto da processo, condanna, derisione.
Ciò che rende notevolmente interessante il rituale carnevalesco legato al Don Conte è il suo svolgimento compatto all'interno della piccola comunità d'Ovodda e soprattutto la forte carica contestativa e dissacrante nei confronti delle autorità politiche e religiose che la strana processione con personaggi da allegra "corte dei miracoli", accompagnata da suoni, canti e urla e animali di varie specie e dimensioni, riesce a far esplodere: producendo, anche se per poche ore, "un microcosmo alla rovescia" (Paolo Piquereddu).

Capita spesso di pensare, con rammarico, a quanto poco la Sardegna sia stata rappresentata in immagine. Il motivo di questo fenomeno è iscritto nella sua storia, di necessaria chiusura verso l'esterno in difesa dalle ondate successive di aggressioni e nella concentrazione sulla sopravvivenza.
E tuttavia, anche ai "conquistatori" e ai successivi visitatori pacifici, ai viaggiatori, l'isola sembra aver imposto la rinuncia, o quasi, al registro iconologico.
Quasi che una resistenza allo sguardo, una sorta di irrappresentabilità, costituisca ancor oggi uno dei valori simbolici ed uno dei misteri più affascinanti che l'isola porta con se.
D'altronde provare per credere: cercate di fotografare un nuraghe e vedrete come quel mistero sognante, quel canto di pietra scompaia, come in un sortilegio, per lasciare un segno vuoto, senza timbro, incollato alla emulsione.
Ecco dunque che legioni di scrittori sbarcano lungo i secoli nell'isola, mentre nessun Gauguin ne viene attratto.
Ecco che il repertorio della grafica ottocentesca, nelle lito e nelle incisioni di francesi, inglesi e svedesi, si adatta alla ricostruzione tassonomica di usi e costumi.
Ma quando tenta il paesaggio ne viene ritratta come da uno specchio deformante: Gallure inesistenti, chiese senza sfondo, monti senz'anima.
Soltanto le città ed i porti reggono l'immagine.
Mentre sempre intatto all'occhio di questi ritrattisti rimane il cuore dell'isola, la sua rugosità centrale, i suoi riti della terra.
E su', su', fino ai nostri giorni, perfino scrittori che all'immagine hanno lavorato moltissimo, come Vittorini o Levi, si accontentano di descrivere, lanciano qualche squarcio di luce, e se ne tornano via con la loro imagerie nel cassetto.
E' forse per questo che la fotografia, arte analogica, è forse l'arte più difficile da esercitare in Sardegna.
E, forse per questo, della Sardegna sono originari alcuni dei più grandi fotografi italiani, i quali, però, fuori dall'isola hanno espresso il massimo delle loro capacità.
Oggi, una nuova generazione di fotografi sardi ha però messo mano all'impresa di lavorare a un repertorio iconografico che finalmente risponda alle infinite e splendide realtà umane e naturali dell'isola.
Uno di questi, e tra i migliori, è certamente Riccardo Campanelli. Erede della migliore tradizione dei fotografi sardi, allievo di quel grande creatore di immagini che è ancor oggi Cartier-Bresson, del quale non dimentica la lezione di composizione degli spazi creata nelle famose foto del "bagno di sole" a Cala Gonone, attento conoscitore delle realtà più impervie dell'isola, Campanelli è sempre presente, negli ultimi vent'anni, dove in Sardegna si lavora sull'immagine.
Dai luoghi del fare artistico, a Sassari, Cagliari e Nuoro, al set cinematografico.
Ma soprattutto è presente, con occhio attento, freddo, mai complice, là dove la Sardegna esprime se' stessa attraverso le sue espressioni più semplici e più antiche.
Là dove la tradizione si salda con il fare dell'oggi e dove il senso di questa lunghissima "storia" buca la fissità rituale della festa.
Proprio come in questa splendida serie di foto sul Carnevale. Il martedì grasso a Bosa e il Mercoledì delle Ceneri a Ovodda.
Uno studio attento e scrupoloso di due momenti della trasgressività tradizionale.
Uno studio che, tuttavia, non si lascia prendere la mano dal gusto dell'"antropologico".
La sobrietà ieratica del Carnevale dei pastori, trasgressivo nella trasgressione, nel suo protrarsi il giorno delle Ceneri, è resa con asciutta sinteticità di impasti di luce e di composizione cromatica.
Mentre il morbido panneggio delle nere mantiglie di Bosa accompagna un'aura insinuante, merlettata e lagunare, da Carnevale cittadino ed elegante nel quale l'irruzione violenta del simbolo priapico del "Gioldzi moro" viene immediatamente riassorbita nel sinuoso incedere notturno di magiche lanterne.
Richiamo cittadino e propiziatorio alle buone e alle cattive "fate". Alle "ianas", numi tutelari di una terra che sa incantare ancora se' stessa (Stefano Del Re).
Riccardo Campanelli è nato a Nuoro nel 1943. Ha iniziato a occuparsi di fotografia e di cinema nel 1962, dopo aver accompagnato Henri Cartier-Bresson per un reportage sulla Sardegna. Ha lavorato con lo scenografo Max Douy, è stato assistente di Ansano Giannarelli in "Sierra Maestra" (Festival di Venezia - 1969), di Alfredo Medori in "Roberto und Julia"(Radio Televisione della Germania Federale), ha collaborato alla realizzazione di una puntata del programma "Come parla il cinema italiano" di Ansano Giannarelli (RAI - 1982). Ha lavorato a diversi documentari etnografici, fra cui "Karrasegare" di Dominique Lesourd (Centre National de la Recherche Scientifique, Paris - 1978). Sue fotografie sono presso: Museo Nazionale delle Tradizioni Popolari di Roma, Archivio Storico Audiovisivo del Movimento Operaio, Istituto Superiore Regionale Etnografico di Nuoro, Università di Sassari.

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